Molti ricorderanno la vicenda del bambino di Cittadella, Comune in provincia di Padova, prelevato a forza da scuola e condotto in una casa famiglia perché, secondo i giudici del tribunale di Venezia, era affetto dalla Sindrome di alienazione parentale (PAS).
Vale la pena, senza alcuna pretesa di completezza, compiere una breve riflessione su tale problematica, che al momento sembra occupare l’interesse di professionisti in ambito psicologico, psichiatrico e forense.
In situazioni di conflitto coniugale si sa, chi soffre di più sono i figli che, più spesso di quanto vorremmo, non vengono salvaguardati dalla guerra che attuano i coniugi separandi. In caso di separazioni particolarmente conflittuali, può accadere che il genitore affidatario, volontariamente o inconsapevolmente, dia avvio a una sorta di “lavaggio del cervello” volto a far sì che il figlio metta in atto, nei confronti dell’altro genitore, una campagna di denigrazione ingiustificata che, nei casi più gravi, sfocia in una vera e propria accusa di abuso sessuale. Lo scopo ultimo del genitore alienante è l’interruzione immediata delle visite dell’ex-coniuge e l’ottenimento dell’affidamento esclusivo.
Secondo Richard Gardner, il primo psichiatra americano che teorizzò l’esistenza della PAS, la “programmazione” o “indottrinamento” operato da un genitore afflitto da “odio patologico” nei confronti dell’altro, potrebbe sortire sui figli un effetto di tipo denigrazione “alienante”.
Quando, cioè, a causa della campagna di operata da uno dei genitori (per lo più quello affidatario) i figli venissero ad allinearsi con un genitore rifiutando l’altro, allora ci troveremmo di fronte alla Sindrome di Alienazione Genitoriale (PAS – Parental Alienation Sindrome).
I figli, uniche vere vittime, in tal caso, si dimostrano personalmente coinvolti in una campagna di denigrazione che non ha giustificazione, né è sostenuta da elementi realistici nei confronti dell’altro genitore, che viene “odiato”.
Richard Gardner afferma che l’instillazione incontrollata di PAS è una vera e propria forma di violenza emotiva, capace di produrre significative psicopatologie sia nel presente sia nella vita futura dei bambini coinvolti, quali, ad esempio, esame di realtà alterato, narcisismo, indebolimento della capacità di provare simpatia ed empatia, mancanza di rispetto per l’autorità, estesa anche a figure non genitoriali, paranoia, psicopatologie legate all’identità di genere, disturbo bordeline.
Amy J.L. Baker, psicologa americana, ha condotto nel 2005 -2006 uno studio sugli effetti a lungo termine della PAS in adulti assoggettati all’alienazione da bambini ed ha rilevato che gli immediati effetti negativi della PAS consistono nel provare odio per se stessi, nella distorsione della realtà, in problemi generali legati alla sfera emotiva, ma, per quanto riguarda il lungo termine, ha riscontrato tipologie di effetti quali, a titolo esemplificativo, bassa autostima, depressione, abuso di droga e/o alcol, mancanza di fiducia negli altri, alienazione effettuata nei confronti dei propri figli, divorzio ecc.
Come qualunque altra patologia anche la PAS può presentarsi con differenti livelli di gravità a seconda dell’intensità ed efficacia della programmazione.
E’ stato verificato come la situazione patologica riesca ad evolvere in senso risolutivo (scomparsa dei sintomi e remissione completa), in senso migliorativo (sollievo sintomatologico e remissione parziale), verso una stabilizzazione (costanza della sintomatologia), o in direzione di una condizione peggiorativa (aggravamento della patologia) in relazione all’adeguatezza dell’approccio e della terapia.
Comunque, ciò che risulta essere come davvero importante è riuscire a garantire al bambino l’osservanza dei tre principi che sono alla base di una crescita sana: continuità, prevedibilità, affidabilità.
Nella pratica, tali criteri si risolvono nel conservare le stesse abitudini, ad esempio, rispetto all’orario dei PASti o dell’addormentamento, gli stessi impegni extrascolastici. Inoltre, la possibilità di preveder alcuni eventi perché si ripetono in determinati giorni a determinate ore fornisce al minore la sensazione di poter controllare le situazioni esterne e di riflesso anche le proprie reazioni interne. Infine l’affidabilità, ossia la capacità dei genitori di rimanere dei punti di riferimento affettivi importanti fa si che i bambini si sentano realmente amati e supportati nei bisogni di crescita personali.
Ma, in realtà, quello che va davvero riscoperto, a prescindere dallo studio e dall’analisi di questi nuovi fenomeni, che non possono in ogni caso non definirsi patologici, è una cultura della relazione, che individui nei legami affettivi, nelle relazioni umane, nel bisogno di condivisione e di solidarietà, il vero oggetto di tutela.
Sul tema sono intervenute due recentissime pronunzie della I sezione della Suprema Corte di Cassazione in punto di rapporti tra figli e genitori che si trovano in crisi di coppia, decisioni nelle quali si accenna alle problematiche relative alla c.d. PAS.
La prima pronunzia in ordine di tempo è quella recante il n. 5847/13, decisa all’udienza del 12.2.2013.
La Corte, sia pure incidentalmente e senza affrontare espressamente la questione della validità scientifica della PAS, conferma la correttezza della valutazione del giudice di merito che ha utilizzato a livello probatorio l’accertamento diagnostico di una sindrome psichiatrica indotta nei figli dal comportamento alienante di un genitore nei confronti dell’altro; inoltre, viene affermata la circostanza per cui l’affidamento esclusivo ad un genitore non è basato solo sulla diagnosticata PAS, ma anche su altri elementi di fatto, rivelatori di incapacità genitoriale da parte, nel caso di specie, del padre.
La sentenza n. 7041/13, pronunciata all’udienza del 6 marzo 2013, ha anch’essa affrontato il tema dell’affidamento di un figlio di una coppia separata consensualmente
In particolare, la Cassazione indica il ragionamento per cui ritiene fondati i motivi di ricorso presentati dalla difesa della madre per non avere, la Corte d’Appello, esaminato le specifiche censure avanzate in tema di validità scientifica della PAS, sindrome posta alla base della sua pronunzia e per non aver verificato l’effettiva esistenza dei sintomi della sindrome per madre e figlio.
All’esito di una forte analisi critica verso la scientificità della presunta sindrome, la Suprema Corte non ha potuto che cassare il decreto impugnato e rimettere alla sezione minorenni di diversa corte territoriale.
Da ciò emerge come la querelle in merito all’esistenza e validità scientifica di una sindrome psichiatrica rischi di essere totalmente fuorviante per gli operatori. Nessun giudice dovrebbe decidere esclusivamente sulla base di un accertamento peritale psichiatrico, demandando così al consulente in via automatica la decisione conseguenziale sull’affidamento, il collocamento, le visite del genitore al minore, poiché egli deve decidere sulla base di quanto allegato e provato, secondo le regole probatorie proprie del processo civile, che nel caso di minorenni che siano parti sostanziali di esso, si allargano sino a comprendere un amplissimo potere istruttorio officioso, che il giudice specializzato in molti casi deve, e non semplicemente può, utilizzare.
In altri termini, le condotte “incriminate” non dovrebbero essere accertate solamente nell’ambito di una consulenza tecnica psicologica (che pure il giudice di merito potrà continuare ad ammettere, al fine di valutare le capacità dei genitore nell’esercizio della loro potestà, il grado di maturità della prole, le dinamiche familiari e parentali, potendo anche suggerire specifici provvedimenti di sostegno o cura), ma dovrebbero essere ritenute provate attraverso l’utilizzo dei mezzi di prova tipici (interrogatorio della parti, testimonianze, documenti, precedenti decisioni) e specifici della materia (ascolto del minore, relazioni dei servizi sociali e psicologici territoriali, o delle aziende sanitarie), al fine di evitare l’ingresso nella decisione di elementi spuri, quasi sempre collegati a convinzioni pregiudiziali (occorre sempre accondiscendere alla volontà del minore; solo il genitore conosce i suoi figli ed agisce per il loro bene; il padre è superficiale, la madre è di per sé più adatta a crescere i figli).
Solo in tal modo sarà possibile una decisione equilibrata in punto di affidamento, collocamento e visite della prole rispetto ai genitori, e potrà realizzarsi in concreto quell’interesse del minore che troppo spesso viene declamato e sbandierato, per essere in realtà sottomesso ad interessi di altre parti del procedimento